Il Mulino
I Giorni Nostri
Il mulino venne poi dotato di un motore da otto Cavalli tutt’ora installato, e non appena lo ottenni in eredità da mio nonno Antonio e da mio padre Alessandro, decisi immediatamente di ripristinarlo.
Il giorno 11 Ottobre 2009 a Prato Barbieri, piccolo borgo che dall’alto dei suoi 900 metri di quota funge da cerniera tra il comune di Bettola (PC), a cui appartiene, e le appendici territoriali dei comuni di Gropparello e Morfasso che lì convergono, il Mulino Sala, dopo più di quindici anni di inattività, torna ufficialmente a macinare il frumento di questa porzione di montagna piacentina, a produrre farina biologica e a ricreare la “magìa” perduta di un importantissimo centro di aggregazione sociale.
Angelo Sala
Domani 11 Ottobre 2009 sarà un giorno di grande festa per Prato Barbieri, piccolo borgo che dall’alto dei suoi 900 metri di quota funge da cerniera tra il comune di Bettola, a cui appartiene, e le appendici territoriali dei comuni di Gropparello e Morfasso che lì convergono.
Il Mulino Sala, dopo più di quindici anni di inattività, torna ufficialmente in funzione alle 10.30 di domani dopo il ripristino operato da Angelo Sala, proprietario dell’impianto avuto in eredità da suo nonno Antonio Sala e da suo padre Alessandro. All’inaugurazione farà seguito un rinfresco per tutti i presenti. Sicuramente quello che si sta tramandando nella famiglia Sala è un amore incondizionato per una attività che ha origine nei secoli passati, un amore che ha portato a fondare il mulino di Prato Barbieri la cui storia, almeno nei suoi tratti essenziali, è conservata ed è consultabile grazie al gentilissimo personale addetto all’archivio della Camera di Commercio di Piacenza.
Il fondatore Antonio Sala, infatti, nasce il 2 novembre 1901 in località Maglio di Roncovero di Bettola dove suo padre, Aquilino, gestisce in affitto una avviata attività molitoria assieme alla moglie Francesca Bocciarelli. Sul finire dell’estate del 1924, dopo aver sposato Giuseppina (Pina) Bergonzi, Antonio si trasferisce a Morfasso come mugnaio del mulino di Domenico Cavaciuti (e qui nascono le sue prime due figlie: Rita, classe 1925 e Maria Pia, 1927). E’ più che provabile, però, che da tempo coltivi il proposito di aprire una sua attività a Prato Barbieri, punto strategico lungo il quale si snodano la maggior parte dei commerci da e per i mercati di Bettola e Bardi, e dove contadini e mediatori trovano già da decenni due validissimi punti di riferimento: l’osteria di Federico Mutti (presente nel borgo già dalla fine dell’800) e quello che da sempre è conosciuto come l’albergo Touring (costruito, si dice, intorno al 1912). Per realizzare il progetto, però, Antonio Sala deve acquisire una licenza di macinazione e, cosa forse un poco più preoccupante, dotare l’impianto di una fonte di energia alternativa a quella prodotta dall’acqua, visto e considerato che nessun torrente scorre nelle vicinanze di Prato Barbieri. In entrambi i casi, come vedremo, la sorte e il progresso premieranno la sua intraprendenza.
Dal documento che ne rileva il trasferimento di proprietà, si apprende che la licenza di macinazione giunge nelle mani di Antonio Sala dal mugnaio Giuseppe Bobbi, titolare di un mulino nella borgata di San Bernardino di Bettola che “consta di due macine azionate una alla volta da un motore elettrico della potenza di 9 HP”. Infatti, a seguito di un accertamento tecnico dell’ Associazione Nazionale per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in data 1 settembre 1928 si comunica al Bobbi un parere negativo riguardo alla concessione della licenza da lui richiesta il 3 novembre 1927, informando che – si legge – “per la insufficienza degli apparecchi di pulitura dei cereali, questo molino è inadatto a macinare il grano, per ricavare farine a qualsiasi titolo di resa”. Le normative molitorie dell’epoca sono severissime e il Regio Prefetto, in data 5 ottobre 1928, decreta di non concedere al mulino di San Bernardino la licenza di “terza categoria” (che permette di macinare il frumento per ricavarne prodotti della pastificazione), ma gli concede facoltà di esercitare quella di “quarta categoria” (macinazione di altri cereali, frumento escluso). In mulino di Prato Barbieri entra cosi in possesso di una licenza provvisoria di terza categoria mentre l’energia per il suo funzionamento arriva grazie ad un evento di portata storica, che fa capo a Morfasso . Con la delibera n° 170 del 25 ottobre 1928 , il Commissario Prefettizio di Morfasso, Carlo Frazzani, decreta “di istituire come istituisce il servizio della luce e della forza elettrica nel Comune, momentaneamente provvedendo per l’impianto nelle frazioni di Morfasso coi Negri; di San Michele, colle ville dei Rigolli, Chiavarini, Malvisi, Oddi e Chiesa; dei Guselli; dei Tiramani e Levei; della Rocchetta colle ville dei Sartori e Cà Antonino; Prato Barbieri “ . Il contratto per la costruzione della nuova linea elettrica (che andrà a staccarsi da quella principale di Farmi d’Olmo — Bettola in località Casa Perelli) viene firmato, dopo vari accomodamenti, il 9 giugno 1929 con la ditta Astorri di Bettola, concessionaria della Società Brioschi, per una spesa di 78mila lire (28mila lire sborsate dal Comune di Morfasso e 50mila raccolte dalla popolazione dei villaggi beneficianti la fornitura elettrica) “con l’obbligo di terminare i lavori entro il 31 agosto prossimo venturo”.
Nel diario di Giuseppina Bergonzi si legge che il mulino elettrico di Prato Barbieri “andava dal giorno di Sant’Antonio (il 13 giugno) del 1930” e l’impianto è stato rilevato da suo marito presso la famiglia Bobbi di Bettola che l’ha messo in vendita a causa di un fallimento. Antonio Sala lo acquista per la cifra ragguardevole di 7Omila lire, ma questa somma comprende anche il pagamento del terreno a Prato Barbieri, il materiale per costruirvi sopra la casa e la manodopera dei muratori. L’impianto ancora oggi si compone di tre pregiate coppie di macine cosiddette “francesi”, cioè di tipo composto (una coppia per macinare la melica, una per il frumento e una per gli altri cereali), di un motore elettrico da 8 Cavalli, e di uno strumento accessorio tanto bello quanto straordinariamente funzionale che merita attenzione anche dal punto di vista didattico: dopo essere prima passato nel buratto, il frumento viene posto ai piedi del mulino dove un nastro trasportatore (in dialetto, la “facchinéra”) lo indirizza alla macchina pulitrice collocata in soffitta, la quale, dopo averlo risucchiato e diviso dalle impurità creando un vuoto pneumatico, lo indirizza in un vano di spazzolatura facendolo arrivare limpido nella tramoggia. Il mulino di Antonio Sala, dopo una rigorosa ispezione tecnica, il 26 gennaio 1940 riceve pertanto il massimo riconoscimento dal Consiglio provinciale delle Corporazioni di Piacenza con la concessione della “licenza definitiva di macinazione per molini di seconda categoria per la produzione di sfarinati di cereali esclusivamente per conto dei consumatori diretti”.
Oltre a produrre farina senza sosta, il titolare acquisisce poi le licenze per il commercio di semi di lino, lenticchie, materiali edili e altro, e il mulino diventa così il centro di un piccolo ma operoso sistema economico e sociale. Gli attori di tutto questo sono la moglie di Antonio, Giuseppina Bergonzi, che gli ha dato altri quattro figli: Angelo, classe 1930 (scomparso all’età di un anno), Angela, 1932; Alessandro, 1935 e Anna, 1941. Ma la parte da leone la fa Cesare Armi di Bettola, il famiglio, per 40 anni “sovrintendente” di ogni lavoro che riguardi il mulino, carrettiere instancabile che preleva a domicilio il frumento da macinare con la barra trainata da quattro muli, e il cui schiocco di frusta è udibile da tutti mentre transita per i villaggi a qualsiasi ora del giorno e della notte.
Intanto, come per magia, in quasi ogni casa di Prato Barbieri fiorisce una preziosa attività: quella del falegname Pietro Gnocchi, del fabbro Giovanni Cordani e di sua sorella Rosa, sarta, e del calzolaio Luigi (Vigiò) Casaliggi. La scuola elementare e la drogheria di Bernardo Sartori completano il borgo di indispensabili servizi per tutta la zona. Prato Barbieri vive così decenni di autentico splendore e il mulino non conosce crisi di sorta fino al 16 novembre 1973, giorno questo in cui Antonio Sala viene a mancare. Le redini dell’attività passano al figlio Alessandro, ma la malattia e la sofferenza gli permettono di rinnovare la licenza fino al 1979 (si spegnerà poi il 14 agosto 1984 dopo un lungo calvario). Dopo un anno di inattività, nel 1980 Anna Sala (col marito Mario Spagnoli) chiede di volturare a proprio nome la licenza molitoria intestata al fratello, rinnovandola fino al 1984. Il 4 aprile 1985 l’Ufficio Forni e Molini ne chiede e ottiene la revoca per la mancata richiesta del visto. Purtroppo Anna Sala si ricongiungerà al fratello il i gennaio 1996. L’attività della famiglia Sala verrà poi rilevata dai fratelli Bruno e Luigi Schiavi di Groppovisdomo di Gropparello, che la rimetteranno definitivamente nei primi anni ‘90. Dopo una lunga inattività, il mulino di Angelo Sala ritorna oggi a macinare il frumento di questa porzione di montagna piacentina, a produrre farina biologica e a ricreare la “magia” perduta di un importantissimo centro di aggregazione sociale.
I cereali sono un gruppo di piante appartenenti alla famiglia delle Graminacee, di importanza fondamentale per la salute e l’equilibrio psicofisico dell’uomo.
Struttura del chicco
La cariosside (chicco o frutto secco) dei cereali è protetta da un involucro denominato gluma. Tale rivestimento non è assimilabile dall’apparato digerente dell’uomo e va scartato prima dell’uso alimentare.
Il seme vero e proprio è costituito da 4 componenti fondamentali, che hanno ruoli diversi in campo nutrizionale:
1) il pericarpo un guscio fibroso (anche denominato crusca) che racchiude e protegge il chicco, costituito essenzialmente da cellulosa ed emicellulosa;
2) il tegumento e lo strato aleuronico, ricchi di proteine, sostanze minerali e vitamine;
3) il germe, che contiene la memoria genetica della pianta, ricco di oli vegetali, proteine, enzimi, minerali, oligoelementi, fitormoni, ecc..;
4) la parte più grande, collocata centralmente, è l’endosperma, costituito essenzialmente da zuccheri (amido) e da alcune proteine (nel frumento, gluteina e gliadina, che insieme formano il glutine).
La raffinazione e i suoi effetti sulla nutrizione
Mentre la farina integrale contiene tutte le strutture del seme, la farina bianca contiene solo l’endosperma.
A fronte di un modesto aumento percentuale di amido e di potere calorico, la raffinazione della farina provoca un netto scadimento nel contenuto di tutti gli altri importanti componenti nutrizionali (mancanza o quasi di cellulosa, riduzione delle proteine ricche di aminoacidi essenziali, di olio vegetale ricco di vitamina E, di acidi grassi monoinsaturi e polinsaturi, vitamine del gruppo B e la vitamina PP, minerali).
Queste carenze favoriscono l’insorgenza di numerose patologie.
Gli alimenti cerealicoli più appropriati al fine di mantenerci in buone condizioni sono quelli “rustici”, meno raffinati, meno elaborati ed additivati.
I moderni mulini “a cilindri” durante la macinazione separano le diverse parti del seme raschiando la cariosside dalla periferia verso il centro e producono come “scarto” il germe. Con questa macinazione viene pesantemente alterata e impoverita la naturale composizione del frumento.
L’unico pane veramente integrale, quindi, è quello prodotto con farine ottenute tramite macinazione a pietra o con altre tecniche che comportino la conservazione completa, o quasi, di tutte le componenti del chicco.
La percentuale di abburattamento è la quota di farina che rimane dopo l’eliminazione degli “scarti”, come cruschello, tritello, crusca..: più alta è la percentuale, maggiore è la conservazione di tutti i componenti del chicco nella farina. La farina tipo 0, utilizzata per la produzione del pane comune, si ottiene con abburattamento del 72%; la farina del tipo 00 con abburattamento del 50%; le farine di tipo 1 e 2 sono ad abburattamento rispettivamente dell’80% e del 85%.
Quando è possibile occorre privilegiare preparazioni a base di farine integrali o quantomeno semintegrali, le sole in grado di fornire un apporto glicidico, lipidico e proteico bilanciato, con, in aggiunta, una significativa presenza di vitamine, minerali e oligoelementi.
La preparazione classica della pasta madre comincia da un impasto acido spontaneo ottenuto con la lievitazione innescata in un impasto di farina e acqua. Questo impasto deve essere lasciato acidificare spontaneamente. In questo modo si permette lo sviluppo di varie specie.
Ingredienti dell’impasto
200 grammi di farina
100 ml di acqua tiepida
1 cucchiaio di olio extravergine d’oliva
1 cucchiaio di miele
Preparazione
La pasta madre va preparata in una cucina in cui la temperatura media è di 22-25 gradi.
Si devono riunire tutti gli ingredienti in una terrina, aggiungendo l’acqua un po’ per volta fino ad ottenere un impasto molto morbido ed appiccicoso. L’impasto così ottenuto va messo in un contenitore di vetro precedentemente unto con un filo di olio. Dopo aver fatto un taglio a croce sull’impasto si può coprire il contenitore con della pellicola o con un coperchio. L’impasto va lasciato riposare per 48 ore sempre in un luogo tiepido. E’ consigliabile avvicinare o comunque avere all’interno della stanza della frutta matura perché questa favorisce la fermentazione.
Passate le 48 ore va fatto il primo rinfresco all’impasto dopo avere riamalgamato il tutto e riottenuto una palla. La palla in questione, del peso di circa 300 grammi, è la prima pasta acida ottenuta. Da questa vanno tolti 100 grammi di impasto ed aggiunti 200 grammi di farina 0 e 100 ml di acqua tiepida. Poi va formata una nuova palla, segnata nella parte superiore con un taglio a croce, che deve essere riposta nuovamente nella ciotola di vetro (sempre unta con un po’ d’olio).
Trascorse altre 24 ore va fatto il secondo rinfresco, sempre seguendo il procedimento di prima. I rinfreschi devono essere in tutto una decina prima che la pasta sia diventata acida ed utilizzabile per preparare il pane. Fatto questo, si deve conservare il lievito madre in frigorifero. E’ molto importante ricordarsi di rinfrescarlo ogni 5 o 6 giorni (per sempre!). Una regola comunemente accettata dice che la pasta acida è considerata utilizzabile quando raddoppia di volume in tre ore circa ed il taglio a croce prende la forma di un fiore.
La lievitazione ottenuta con la pasta madre (di pane, brioche, panettoni ecc) consente a questi impasti di durare più a lungo nel tempo ed essere più digeribili rispetto a quelli prodotti con lieviti industriali.